Un giorno Joe si ruppe un braccio. Una cosa normale per un praticante del parkour. Era un traceur.[1. Un traceur è un praticante del parkour, una disciplina fisica metropolitana — considerata anche una forma d’arte — che consiste nel superare ostacoli naturali o artificiali, con movimenti efficienti e ininterrotti, all’interno di un percorso, adattando il proprio corpo all’ambiente circostante. Tali movimenti prendono la forma di corsa, salto, arrampicata e altre tecniche più complesse. L’obiettivo del parkour è essere in grado di adattare i propri movimenti a qualsiasi scenario, per superare qualsiasi ostacolo con le capacità del corpo umano. (Tratto da: Wikipedia, l’enciclopedia libera. http://it.wikipedia.org/wiki/Traceur).] Viveva in un mondo che consisteva di un unico gigantesco percorso a ostacoli, arrampicandosi e saltando, schivando e volteggiando, lanciandosi e roteando, nell’ambiente cittadino. Nelle sue corse Joe si lanciava, a volte sopra le auto o i muri, a volte da un tetto all’altro. A volte troppo in là. Il destino lo osservava da lontano, tenendo d’occhio le sue braccia fini e aspettando l’occasione giusta.
La mattina che si ruppe un braccio, Joe era andato con due amici a fare una corsa di allenamento per un video amatoriale su cui stavano lavorando. Pochi movimenti di riscaldamento diedero al destino la sua opportunità.
Joe arrivò di corsa sopra un muro basso, rimase un attimo in equilibrio, poi si lanciò nel vuoto. Le sue dita si strinsero attorno a una sbarra orizzontale di metallo di fronte a lui, una sbarra che avrebbe dovuto fermare la sua caduta.
Una sbarra sorretta dal legno marcio.
Il legno si spezzò e Joe cadde all’indietro.
Il terreno interruppe la sua caduta… e ruppe qualcos’altro. Si rialzò in fretta, stringendosi il polso sinistro piegato prima in basso e poi in alto, come una “Z”. Qualcuno chiamò un’ambulanza.
Joe si risvegliò all’ospedale, con le palpebre ancora pesanti per i sedativi ricevuti. Un’ingessatura gli bloccava l’avambraccio e proteggeva il suo polso slogato e il radio spezzato in due punti.
Per quattro settimane Joe lottò contro la sua disabilità. Imparò a scrivere al computer con una mano sola, a vivere senza farsi la doccia tutti i giorni e a lasciare che fossero gli altri ad abbottonargli camicia, allacciargli le scarpe e lavargli i piatti.
Dopo un mese finalmente si tolse il gesso. Finalmente Joe era libero. Passò dieci minuti a grattarsi e un’ora e mezza nella vasca da bagno.
Ma non era tornato tutto alla normalità. Dopo ventinove giorni senza essere usati, i muscoli del braccio destro si erano rimpiccioliti e atrofizzati. Il braccio ora era grosso la metà e la pelle sembrava appesa come un imballaggio di plastica sopra l’osso riaggiustato. Il minimo tentativo di girare o raddrizzare il braccio gli causava fitte di dolore in tutto il corpo.
Alcune applicazioni di termoterapia contribuirono a sciogliere i muscoli rattrappiti e Joe fu in grado di muovere il polso un po’ di più ogni giorno. Ben presto poté cominciare una terapia con i pesi. Dopo aver raccolto ragnatele per un mese sotto il suo letto, i suoi vecchi pesi da quindici chili ritrovarono un posto nel centro della stanza. Afferrò entusiasticamente il manubrio con il braccio sinistro e provò ad alzarlo. Niente. Si sforzò, sudò, strinse i denti e morse la lingua. Lanciò minacce smorzate all’ostinata massa di ferro. Il peso non si mosse. Avrebbe dovuto cambiare tattica.
Joe prese in prestito un manubrio leggero da sua sorella (come fermacarte, le disse). Era piccolo e ricoperto di plastica verde. Joe lo portò in camera sua di nascosto.
Mentre faceva sforzi con il suo piccolo “fermacarte” verde, gli sembrava di sentire i suoi amici grugnire sotto il peso di bilancieri enormi, spingendoli, sollevandoli e allenandosi intensamente. Ignorò quella lontana dimostrazione di mascolinità.
All’inizio fu un lavoro duro — anche con quel giocattolo ridicolmente piccolo — e ogni sollevamento gli provocava dolore al polso. Col passar dei giorni, però, cominciò a ignorarlo e dopo un po’ non si fece più sentire. Joe l’aveva vinta sul giocattolino verde.
Con grande orgoglio aggiunse altri due dischetti verdi. Non era ancora forte, ma lo stava diventando. Disperarsi per delle attese irrealistiche non era la soluzione. Era meglio cominciare da poco e aumentare gradualmente.
Ben presto aveva aggiunto tutti i dischetti verdi al manubrio e lo faceva vorticare come un tornado. Anche il manubrio di ferro sotto al letto finì per arrendersi, dominato dalla sua determinazione e da quei piccoli passi verdi di progresso.
Joe ha ancora molto da fare prima che il braccio ritorni completamente alla normalità, ma sa che non serve a niente lamentarsi per le cose che poteva fare una volta. Ora invece vede i progressi fatti e guarda al futuro, a una guarigione completa.
Quando arriverà quel giorno, be’, forse andrò a fare un’altra corsa.