«Tira! Tira!» Era lì, palla al piede, la porta completamente libera, il resto della squadra che urlava parole d’incoraggiamento, mentre l’altra squadra e il portiere tornavano indietro di corsa per difendere la porta.
Era un tiro netto e quel goal avrebbe segnato il vantaggio per la nostra squadra.
Ma… si è girato e ha passato la palla a un compagno di squadra.
Dal resto della squadra è arrivato un sospiro di frustrazione.
È tipico di lui. È il nostro giocatore migliore, ma rallenta sempre quando l’altra squadra è in difficoltà, oppure passa la palla a qualcun altro anche se ha la possibilità di tirare, ho pensato.
Mentre chiacchieravamo dopo la partita, è emersa la questione del suo zelo eccessivo nel passare la palla. Era un argomento su cui lo prendevamo in giro regolarmente, perché era sempre il giocatore meno aggressivo in campo. Voleva vincere, amava il calcio ed era probabilmente il più talentuoso tra tutti i nostri amici, ma era la persona meno competitiva che abbia mai conosciuto.
Quando uno dei nostri fratelli piccoli si univa al gioco, lui gli dava sempre spazio per giocare, gli passava la palla e gli dava consigli. Se il ragazzino era nell’altra squadra, andava piano con lui e si assicurava che l’altra squadra non lo mettesse in posizioni troppo difficili.
Per noi non era un problema; ci faceva piacere quando era nostro fratello a giocare, ma non ci andava molto quando perdevamo un’occasione da goal durante una partita.
A essere onesti, anche se lo prendevamo in giro o sbuffavamo o alzavamo gli occhi al cielo, rispettavamo lo stesso il suo comportamento.
Ripensandoci, mi chiedo se forse non pensasse tanto alla sua carriera di giocatore dilettante nelle strade del Sudafrica quanto a una carriera di tipo diverso. Qualunque cosa succedesse intorno a lui, qualunque cosa gli altri ritenessero importante – come segnare un goal – lui sapeva come voleva vivere. Sapeva chi voleva essere. Sapeva che gioco voleva vincere nella vita.