Genni, la figlia di una mia amica, ha dodici anni ed è iscritta a un corso di ginnastica molto impegnativo. Quattro volte la settimana fa allenamento per quattro ore dopo la scuola. Fa i compiti in auto, mentre va in palestra e mangia in auto mentre torna a casa.

È sempre stata una sua scelta. Le piace la ginnastica e vuole arrivare il più lontano possibile. Ha già vinto delle medaglie ed era considerata la ginnasta migliore della zona al suo livello, quando si è iscritta a questo programma d’allentamento intensivo, con l’obiettivo di conquistare una borsa di studio universitaria come atleta.

Adesso, dopo qualche mese, ammette che è dura. A volte si sente frustrata dalla continua pressione di dover prendere buoni voti a scuola mentre cerca di fare progressi nella ginnastica, o per la mancanza di tempo per stare con le amiche. I suoi allenatori hanno grandi speranze per lei e non si aspettano lamenti ma perseveranza.

Allora, perché lo fa? Sta inseguendo un sogno. Ha un talento e lo sta sviluppando in una conquista.

Pochi di noi hanno la grinta per spingersi verso l’eccellenza. Il pensiero dell’impegno, della disciplina e della fatica richiesta è sufficiente a dissuaderci. Tuttavia tutti abbiamo l’opportunità di sviluppare una nostra eccellenza nella vita, di dare il meglio di noi stessi, di fare cose eccezionali. Purtroppo l’ingrediente che spesso manca è l’impegno ad arrivare in fondo.

Nella parabola dei talenti,[Vedi Matteo 25,14-30 e Luca 19,12-28.] Gesù raccontò di un ricco che partiva per un viaggio. Chiamò tre dei suoi servitori e spiegò loro che voleva che si prendessero cura della proprietà in sua assenza. A ciascuno di loro affidò dei talenti, secondo il carattere e le capacità che doveva già conoscere in loro.

Al primo diede cinque talenti, al secondo due e al terzo uno. Quei talenti non erano una cosa che potessero tenere in tasca o in un portafoglio. Un talento equivaleva a circa 43,6 chili d’argento e avrebbe un valore attuale di quasi €24.000. Ricevere cinque talenti era un’opportunità enorme, ma averne anche uno solo non era poi tanto male.

Il padrone se ne andò per qualche tempo e al suo ritorno volle sapere cosa avessero fatto i servi delle sue ricchezze. Il primo servitore disse: «Signore, mi hai dato cinque talenti. Li ho investiti e sono raddoppiati». Il ricco ne fu compiaciuto e disse: «Bene, servo buono e fedele. Sei stato fedele nel poco, così ti darò più responsabilità. Festeggiamo insieme!»[Vedi Matteo 25,21.]

Anche il secondo servitore aveva raddoppiato i talenti ricevuti e ricevette dal suo signore lo stesso trattamento. Il terzo servo, invece, aveva una storia diversa: «Avevo paura di perdere il tuo denaro, così l’ho nascosto sottoterra. Eccoli qui».[Vedi Matteo 25,25.]

Anche la risposta del padrone fu diversa. «Servo malvagio e fannullone! Perché non hai depositato i miei soldi in banca? Almeno avresti potuto ricevere qualche interesse. Togliete il denaro a questo servo e datelo a quello che ne ha dieci. A chi usa bene quello che ha ricevuto, sarà dato ancora di più e sarà nell’abbondanza; ma a chi non fa niente, sarà tolto anche quel poco che ha».[V. Matteo 25,26-29.] Il terzo servo aveva nascosto il suo talento per tenerlo al sicuro, ma il padrone voleva che ne facesse qualcosa.

Secondo alcuni studiosi questa parabola è all’origine dell’uso della parola «talento» nel senso di «dono, capacità, o abilità». Quando leggiamo la storia in questo contesto, ci appare ovvio che Dio si aspetta che facciamo qualcosa con i doni, i talenti e le capacità che ci ha dato. «Fare qualcosa» comporta del lavoro e del rischio.

Ammiro Genni per quello che sta facendo con il suo talento. So che quello che sta imparando grazie alla disciplina, al sacrificio e all’impegno necessari le serviranno molto per il resto della vita.

Se hai talenti o capacità che Dio ti ha dato, investili. Cresci per Dio. Forse non saprai che cosa ne farà, ma una cosa che puoi sapere è che alla fine del viaggio della vita gli sentirai dire, come al servo fedele: «Ben fatto».