Una delle domande centrali cui i filosofi e i teologi si sono sforzati per millenni di dare una risposta è il mistero di ciò che dà significato alla vita. Tutti vogliono essere felici e soddisfatti, ma come possiamo distinguere la vera felicità e da dove proviene?
Gli antichi greci credevano che la fonte della felicità fosse interiore e potesse essere coltivata conducendo una vita degna. Chiamavano questo stato eudaimonia, che Aristotele descrisse come la partecipazione ad attività che richiedono i nostri talenti e pongono una sfida alle nostre capacità, un comportamento tale da giovare agli altri e una vita condotta secondo principi e virtù. Non è sufficiente limitarsi a possedere la capacità o l’inclinazione a fare qualcosa: l’eudaimonia richiede che esse vengano messe in pratica con fatti concreti.
Nella sua lettera agli Efesini, Paolo implora i cristiani di quella città a condurre una vita degna della loro vocazione.[Vedi Efesini 4,1.] Prosegue poi spiegando che ciò si può fare mantenendosi umili, mansueti, pazienti, tolleranti, amorevoli e vivendo in pace con gli altri.
Condurre una vita virtuosa e basata su principi sani sembra una buona idea. Purtroppo, in quanto esseri umani, la nostra natura imperfetta spesso non ci permette di riuscirci da soli. Come credenti, però, possiamo usufruire della potenza divina che ci aiuta a fare progressi nel trascendere le nostre limitazioni. «È Dio che mi cinge di forza e che rende la mia vita perfetta».[Salmi 18,32.]
Anche Salomone, spesso ritenuto l’uomo più saggio mai esistito, scoprì la futilità di una vita vissuta soltanto per se stessi e per le cose del mondo, ma intravide la soluzione. Alla fine della sua ricerca di significato e felicità nel libro dell’Ecclesiaste, conclude: «Ecco la conclusione di tutto il discorso: rispetta Dio e ubbidiscigli; questo è tutto il senso della vita».[Ecclesiaste 12,13.]
Più impariamo a mettere Dio e il benessere degli altri al centro dei nostri pensieri e delle nostre azioni, più la nostra vita avrà un significato e uno scopo.