Da quasi vent’anni lavoro con lo stesso gruppo di persone in una ONG nell’ex- Jugoslavia. «Un matrimonio!» ha commentato qualcuno. Sì, in un certo senso lo è. Ci sono volute molte delle qualità e delle scelte richieste in un matrimonio.
All’inizio eravamo, be’, molto più giovani. L’entusiasmo della sfida, il grande bisogno davanti a noi e la novità del lavoro erano tutti fattori predominanti. Anche se avevamo personalità distinte, durante quella prima fase eravamo così occupati che non avevamo il tempo di approfondire gli scontri di personalità o di curare le nostre ferite.
In seguito, però, abbiamo effettivamente provato le stesse cose che si provano nei matrimoni e nelle relazioni: familiarità, difficoltà di comunicazione, stress e così via. Più di una volta abbiamo avuto la tentazione di lasciar perdere. Molte volte semplicemente non riuscivamo più a sopportarci!
Affrontare e accettare i nostri limiti e le nostre differenze alla fine ci ha aiutato a continuare a concentrarci sugli obiettivi e a non scoraggiarci e distrarci quando affrontavamo rapporti personali difficili o facevamo un passo indietro nel nostro lavoro.
Certo, c’è voluta una buona dose di perdono, pazienza e comprensione. Abbiamo anche imparato ad accettare i momenti difficili e i periodi di minor rendimento di ognuno. Dopotutto siamo esseri umani e anche se dedichiamo la maggior parte del nostro tempo a una buona causa e cerchiamo di essere idealisti e altruisti, certamente non raggiungeremo mai la perfezione.
La nostra stessa percezione a volte può essere distorta – e una volta ho imparato una buona lezione al riguardo. Stavo discutendo con un collega su come ultimamente uno dei nostri volontari sembrava mancare di motivazione e mi chiedevo se se ne sarebbe andato presto. Avevo ancora la mente annebbiata dal mio pessimismo nei suoi confronti, quando ho controllato la mia email e ho trovato il seguente messaggio:
Fuori pioveva e anche il mio cuore grondava lacrime di tristezza e disperazione, quando è entrato nel mio ufficio uno dei vostri volontari. Il suo sorriso e le sue parole gentili sono stati come un arcobaleno per la mia anima. Mi sembrava che fosse appena entrato un angelo.
Avete indovinato. Parlava proprio di quello stesso volontario.
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Nemmeno le migliori università possono insegnarci l’arte divina della compassione. Dobbiamo camminare noi stessi nelle valli più profonde e allora potremo diventare delle guide per altre anime. Dobbiamo sentire la tensione, portare il peso e sopportare le difficoltà anche noi, prima di poter essere toccati e prestare aiuto agli altri negli sforzi dolorosi e nelle esigenze più intense della vita. —J. R. Miller