Ci sono stati dei momenti in cui mi sembrava di giocare a fingere d’essere una brava persona, per esempio quando facevo il volontario nelle opere di soccorso dopo il terremoto di Tohoku e lo tsunami in Giappone. Parte di me voleva sinceramente aiutare e fare una differenza, ma in un certo senso sentivo che era mio dovere farlo e allo stesso tempo mi piaceva dare l’immagine di una persona che voleva aiutare.

In quel periodo, mi gettai corpo e anima nei soccorsi. Era bello sentirsi utili. Era ancora meglio sentirsi apprezzati. Ben presto cominciai a chiedermi perché altre persone non lavoravano tanto quanto me e mi ritrovai a guardarle dall’alto in basso. Non ci volle molto prima che le cose cominciassero ad andare a rotoli.

Il punto critico venne una mattina quando, ironicamente, non mi svegliai in tempo. Dovevo essere uno degli autisti in un convoglio che partiva per Tohoku alle 6.00, ma la sveglia non funzionò e a svegliarmi fu una telefonata alle 6.15. Saltai fuori dal letto e mi preparai il più in fretta possibile, chiedendomi come fosse potuto accadere. Anche la mia ragazza aveva progettato di venire con noi, ma avevo tanta fretta che non l’aspettai nemmeno.

Durante il viaggio, ebbi il sospetto che qualcosa non andasse bene, ma avevo anche un terribile mal di testa e un veicolo pieno di volontari che non smettevano di parlare, così ignorai la cosa. Dopo un’ora di guida, però, ricevetti dalla mia ragazza una serie di sms che terminavano con un «ti odio».

Ebbi cinque ore di tempo per pensarci, e più ci pensavo, più odiavo me stesso. Nei mesi precedenti avevo «lasciato indietro» anche altre persone, perché non riuscivano a stare al passo, o perché volevo essere io il primo.

Quella sera chiamai la mia ragazza e le chiesi perdono, poi passai un po’ di tempo a parlare con Gesù, chiedendo perdono anche a Lui. Oso pensare che qualcosa sia cambiato quel giorno. Non tanto in quello che faccio, ma in come lo faccio. Ho ancora molti obiettivi, ma voglio raggiungerli come farebbe Gesù, in maniera amorevole e gentile. È l’unico modo in cui quello che faccio potrà durare e avere un significato.